Architetto: donne e professione

Qualche giorno fa’, seduta intorno ad un tavolo per la trattativa tra una società di costruzioni ed il proprietario di un terreno, che aveva commissionato al mio studio un progetto, ho pensato: domenica 14 aprile sarà la Festa della Mamma.
Cosa centra?! – Penserete voi!
Ebbene, quella era l’ennesima volta in cui mi sono trovata nella situazione di avere solo interlocutori maschili: l’immobiliarista, il costruttore, l’intermediario, il proprietario, il finanziatore, il responsabile delle vendite, il collega, ecc. Uno specchio di quello che è lo stato della mia professione di architetto.
Dovrei essere abituata ormai, visto che opero nell’ambiente delle costruzioni dal lontano 1996, eppure qualcosa dentro di me stride sempre.
Non che non ci siano donne laureate in Architettura, non che non ci siano progettiste capaci di affermarsi in ambito internazionale come Eileen Gray, Denise Scott Brown, Zaha Hadid, KazuyoSejima e Maya Lin….
Ma la quotidianità della professione qual è? Dove sono finite le tante mie compagne di università? Potranno permettersi “il lusso” di essere professioniste e madri? Avranno il privilegio di festeggiare questo giorno, che seppur commercializzato, mantiene il suo carico di significati?
Finita la riunione “fiume” , altra tipica modalità di lavoro prettamente maschile (…ma a casa proprio non ci tenete a rientrare?) ho incominciato a domandarmi quale strada avevano intrapreso le numerose donne architetto che avevo incontrato in questi anni.
Appena laureate ci siamo buttate tutte con grande entusiasmo, inseguendo sogni e desideri, lavorando sodo come collaboratrici in studi di architettura, società di engineering, o società di costruzioni. Molte ore, pochi soldi, molte partite iva che coprivano lavori da dipendente, niente mutua o ferie, poche gratificazioni.
Dopo un po’ di tempo, qualcuna ha optato per il pubblico impiego: uffici tecnici di Comuni, Regioni o Enti statali. Poche hanno raggiunto posizioni di rilevo. Molte lamentano la poca importanza data alla meritocrazia.
Una certa percentuale, ha cercato di conciliare orari lavorativi e impegni famigliari, dedicandosi all’insegnamento. Stipendi medi, poche possibilità di carriera, sicurezza se “di ruolo”, precarietà e mobilità se supplenti. Maggioranza assoluta di donne.
Molte sono impiegate nel campo del design e dell’arredo d’interni, settore dove forse è maggiormente accettata la presenza femminile, essendo legati ai concetti ormai obsoleti di “donna regina della casa” e di buon gusto.
Le più determinate, propense alla leadership, hanno preso centinaia di aerei, visto molte stanze di hotels e sale riunioni, passato Natali e compleanni attaccate al PC o al cellulare aziendale, corso molto, combattuto contro il tempo, i pregiudizi, la solitudine e l’invidia.
Tra molte serpeggia una certa delusione, un velo di tristezza che accompagna l’idea di aver pagato un prezzo che molti dei loro compagni non hanno dovuto pagare…
Quindi oggi il mio pensiero va’ a tutte le donne e le mamme che hanno rinunciato a qualcosa, per essere quello che sono. Un abbraccio virtuale per le scelte coraggiose portate avanti, nella quotidianità di giorni anonimi o nello slancio del momento.
Arch. Valeria Masera

La redazione