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Buoni propositi Natale: Nel 2016 saremo tutti più buoni?

Natale e buoni propositi

Meno di un mese a Natale.

E’ il momento di essere tutti più buoni. Cosi diceva mia madre quando ero una bambina. E cosi continua a dirmi anche adesso che sono una donna, come a ricordarmi che un po’ di cuore ci vuole sempre e a Natale ce ne vuole di più.

Ma quando ero bambina essere più buona significava che per Natale avrei ricevuto tutti i regali che avevo elencato nella mia letterina e che tanto desideravo, se non lo fossi stata, ovviamente no.  Era già una sfida allora, mannaggia.

Adesso che sono una persona adulta, le sfide sono altre e ben altre sono le domande, domande che non ti fai quando sei una bambina, perché quando si è piccoli tutto è semplice, senza filtro, non si accettano risposte vuote dagli adulti tipo “perché di no” ma si vogliono spiegazioni comprensibili subito, sensate, motivate e non esistono strane paturnie – chiamiamole cosi – mentali con conseguenti stati al limite del gnecco-depresso o emicranie che vi fanno andare fuori di testa al tal punto che in confronto uno zombie affamato è uno che sorride al prossimo.

Mannaggia.

Quindi adesso che manca meno di un mese a Natale vorrei sapere esattamente queste 3 cose: “dobbiamo” essere tutti più buoni o lo siamo in modo naturale quando arriviamo a questo punto dell’anno?

E poi: la bontà di  una persona che unità di misura ha?

Ma soprattutto: se a Natale siamo tutti più buoni, per tutto il resto dell’anno come siamo?

Mi sono fatta le domande e poi mi sono detta: ussignur, dove mi sono infilata.

Essere buoni fa parte della natura umana e appartiene a tutti, anche a quelli che ai nostri occhi sono malvagi assassini, criminali, egoisti, ladri, invidiosi. Il problema è che la natura subisce cambiamenti, viene influenzata dall’ambiente che ci circonda, dall’educazione che riceviamo, da ciò che impariamo, da tutto quello che ci succede nel corso della vita.

Essere buoni non può essere un vestito che ti metti quando devi o quando ne hai voglia, poi la sera torni a casa, te lo togli e lo butti lì in qualche modo non so dove. Essere buoni non è un accessorio, né qualcosa che si abbina in base alla ricorrenza.

Quello non è essere più buoni, quello si chiama buonismo.

Significa ostentare buoni sentimenti e atteggiamenti positivi verso il mondo che ci circonda, soprattutto verso avversari e nemici. Significa fingere, mostrare qualcosa che non siamo e soprattutto che non proviamo. Significa privarci della nostra autenticità, della nostra identità, perché ci si impone qualcosa che non siamo.

Se essere buoni deve essere un dovere, un lavoro o qualcosa che ci viene imposto e vi riesce bene, fatevi assumere da un’azienda specializzata in questo tipo di business e fatevi pagare profumatamente.

Può funzionare, si.

Ma il punto qui è un altro.

Io non credo affatto che “dobbiamo” essere più buoni, né che lo saremo di più a Natale.

Non ci credo per niente. Dai su, davvero crediamo a queste cose? Ma per favore.

Chi ha deciso che “dobbiamo”, che “si deve”?

Nessuno di noi è a comando, se mai il comando dobbiamo imparare a tenerlo.

Quello di noi stessi, della nostra vita.

Meno di un mese a Natale.

Contiamo i giorni sul calendario: vedete? C’è ancora tempo.

C’è ancora tempo per tutti i regali che avete deciso di non fare, per tutti i biglietti di auguri che avete scelto di non scrivere e di non spedire più.

A chi?

A tutti quelli che se lo aspettano da noi, perché lo abbiamo sempre fatto. Alcuni gesti suonano come “dovuti”, perché a Natale siamo tutti più buoni.

Ogni anno abbiamo fatto una lista per fare il punto di quanti e quali regali avremmo dovuto comprare per Natale, una lista di nomi, persone per le quali abbiamo deciso di spendere denaro, tempo del nostro tempo, attenzione, anche solo quella di un biglietto.

Stavolta no.

Manca meno di un mese a Natale, c’è ancora tempo: tempo per il perdono.

Per chiederlo e per darlo.

Perché è cosi che misuriamo la nostra vera natura: perdonare è come uno sblocco, un’azione più forte ed è ovviamente molto di più di un regalo. Prima di fare regali, materiali o no, prima degli auguri, prima di qualsiasi biglietto o pensiero, bisogna verificare se tutto di noi è a posto, se ciò che siamo e che abbiamo dentro è pronto. Alla fine di un altro anno, ognuno di noi in un modo o nell’altro tira le somme, analizza ciò che è stato, cosa è successo, cosa abbiamo ottenuto, chi abbiamo incontrato, chi abbiamo perso, chi ci ha lasciato andare nel corso dell’anno.

E il buonismo, vi assicuro, è l’ultimo pensiero.

Perché se dobbiamo chiedere perdono, abbiamo ben altro da fare.

Perché se il perdono dobbiamo darlo ad altri, da fare ce n’è ancora di più.

Si tratta di mettere da parte la rabbia o il torto, si tratta di scegliere di accantonare il dolore, lo smacco, la sconfitta, la ferita, anche quella di cui ci resterà la più indelebile delle cicatrici.

Non si tratta di essere più buoni, si tratta di essere veri.

Ci vuole un perdono, probabilmente tutti ne abbiamo uno da dare o da chiedere.

In entrambi i casi  è uno sforzo gigantesco, il più complicato della natura umana.

Mettere da parte tutto quanto, sbloccare il respiro che abbiamo tenuto al limite del soffocamento, liberare la mente dai brutti sogni, dare aria al nostro cuore e alzare lo sguardo verso un cielo di speranza.

Non si tratta di capire chi perdona chi, si tratta di comprendere se siamo in grado di dare perdono o di chiederlo. Sembrano due cose tanto diverse, invece no: perché quando siamo in conflitto o ne siamo appena usciti, di perdonare non siamo in grado e di chiederlo nemmeno. L’orgoglio, accompagnato dalla rabbia e magari anche dalla delusione, si prende sempre tutto il vantaggio e ci affama giorno dopo giorno. Altro che più buoni.

Se certe cose sono andate male, se abbiamo sofferto, se abbiamo subito un torto, se abbiamo sbagliato con qualcuno – magari qualcuno a cui tenevamo davvero, che era importante per noi – non siamo in grado di ostentare gesti buoni solo perché è Natale.

Insomma, non è cosi semplice.

Perché sarebbe come recitare una parte, fingere, mettersi una maschera che sorride, mentre sotto stiamo urlando.

E  non di gioia.

Se c’è un modo di comprendere il vero significato del perdono, credo sia quello di praticarlo.

Di provarci.

Circoscrivere il buio, mettere in un angolo tutto il brutto che finora ci ha tolto il sonno o ce lo ha deviato su sogni orrendi e iniziare un nuovo cammino, quello della cura del perdono.

Perdonare non vuol dire dimenticare, anzi: è come appendere una gigantesca mappa della nostra vita sulla parete e mettere una bandierina colorata nel punto in cui le cose non sono andate bene con qualcuno, ogni bandierina è un nome o un momento.

Perdonare non è dimenticare, perdonare è ricordare.

Ricordare per imparare, metabolizzare.

Perdonare per riuscire ad andare oltre, avanti e meglio.

Sembra un gioco ma non lo è affatto.

Sembra un processo a noi stessi, alle nostre azioni verso gli altri, ma non lo è.

Sembra un’inquisizione verso gli altri, ma non lo è.

La rabbia, il rancore, la delusione, il dolore e chissà quanto altro rendono ogni nostro passo incerto, barcollante, pesante e trascinato.

Ci sembra di riuscire ma non è vero, siamo bloccati e lo sappiamo benissimo.

Perdonare serve a entrambe le parti: è dare identità al dolore, è accettare una sconfitta sapendo che non siamo stati leali, non siamo stati sinceri, non siamo stati niente di buono. Noi o l’altro o entrambi. Per scelta.  

E quindi qualcosa è andato storto, abbiamo infierito e subìto.

Nessuno dei due sta bene.  Per scelta.  

Il cuore non mente mai: fuori sorridete, dentro siete spaccati a metà, ostaggi dell’orgoglio e di una ragione che al 100% non ha mai nessuno.

Perdonare è un enorme sforzo vitale, un difficile gesto a cuore aperto, un faticoso abbraccio che non sapevamo di riuscire a dare, uno sguardo di commossa comprensione che non pensavamo di meritare. Anche doloroso, si.

Del rancore non sappiamo che farcene, della vendetta meno di zero. Perché questi sono carburanti velenosi per la nostra vita, sono queste cose che ci rendono ancora più deboli.

Quello del perdono è sicuramente l’ultima sfida prima che l’anno finisca, prima di arrivare a Natale. L’ultimo passo prima che sia troppo tardi.

Quindi quel biglietto speditelo.

Che un perdono ci rende più che buoni, ci rende migliori e più veri.

Daniela Granata

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