Gli stati su Whatsapp

Vi è mai capitato di fermarvi per un secondo e riflettere su quanto tempo passiamo davanti al nostro smartphone?
Bene, in media, ciascuno di noi trascorre 2 ore e 27 minuti al giorno a fissare lo schermo del proprio telefono e se calcoliamo che dormiamo dalle 8 alle 10 ore al giorno, ci restano poco più di 12 ore e 33 minuti da dedicare agli altri. Il problema è che di quelle ore, in realtà, ai rapporti ne dedichiamo la metà, ad essere ottimisti, persi tra la routine giornaliera, i problemi e i pensieri, che sempre più spesso esprimiamo attraverso gli stati su Whatsapp o sugli altri social, piuttosto che liberarli attraverso le vere parole.
I social hanno tanti lati positivi ed è inutile negare loro ogni utilità per brutale ipocrisia.
Ci permettono di tenerci in contatto con chi è lontano, di ritrovare persone perse di vista da un po’, di tenerci informati su cosa accade nel mondo, quando non abbiamo tempo di leggere il giornale o guardare la tv, sono sempre più utilizzati addirittura per trovare lavoro. Solo, che da quando ci sono Whatsapp, Facebook, Instagram, Snapchat e tutti gli altri, abbiamo preso la brutta abitudine di lasciare a loro il comando delle nostre relazioni. Se è vero che “scripta manent, verba volant” e pur vero che a cancellare un messaggio su whatsapp ci si impiega un secondo ed è per questo che badiamo sempre meno al peso che le parole hanno, ma che soprattutto hanno su chi le riceve.
Quando non esistevano i telefoni per comunicare bisognava prendere in mano una penna e scrivere e, almeno a sentire i racconti di chi quei tempi li ha vissuti, spesso si stava ore davanti al foglio a cercare di esprimere al meglio ciò che si pensava o provava.
In altri casi invece, bisognava addirittura avere il coraggio di uscire di casa e cercare l’altro per strada, a lavoro o in casa propria, per parlargli di persona. Ora tutto ciò che bisogna fare è scrivere senza troppe remore ciò che si vuole dire all’altro e aspettare che le “spunte” della chat diventino blu per avere una risposta. E’ tutto molto più facile e immediato, ma anche privo di tante emozioni, quelle che si esprimono soltanto faccia a faccia, quando non ci si può nascondere dietro a un messaggio non aperto.
Sebbene con le chat, tuttavia, c’è ancora la necessità di avere la voglia e il coraggio di mandare un messaggio, che sia ad un amico, ad un parente o al proprio amato, adesso con le “stories” è venuto meno anche questo. Infatti piuttosto che scrivere, per paura di sembrare pedissequi, deboli o troppo presi, si può semplicemente pubblicare un video di pochi secondi, che scompare dopo 24h, su Whatsapp, Instagram, Facebook o Snapchat, mostrando a tutti ciò che stiamo facendo e che in realtà vorremmo dire solo a qualcuno in particolare. Poi bisogna solo controllare che l’altro l’abbia visualizzata, sperando in qualche reazione che dia un nuovo inizio alla chat.
Non fraintendiamoci, sono una amante degli stati e delle stories, ma ogni volta che riguardo quelle che pubblico o che pubblicano gli altri mi rendo conto di quanta solitudine spesso ci si celi dietro.
Perdiamo tempo a tenere il telefono in alto per riprenderci mentre ci divertiamo con i nostri amici, mentre viaggiamo o semplicemente mangiamo o lavoriamo, senza mai goderci davvero a pieno ciò che facciamo. Quello che i social ci hanno regalato è il dono dell’ubiquità, il poter essere in un luogo e nel frattempo controllarne e viverne altri lontani, ma forse ci hanno portato a rinunciare all’autenticità dei nostri sentimenti, all’istinto delle emozioni e alla razionalità.
La verità forse è che tutti, io per prima, abbiamo spesso paura di essere noi stessi e in questo senso Whatsapp e tutti gli altri ci permettono di raccontare di noi cose diverse, quelle che è difficile mostrare faccia a faccia, sono un aiuto, ma anche una trappola, dalla quale per uscire basterebbe soltanto trovare ogni tanto la forza dire ciò che pensiamo e vogliamo davvero, senza l’ansia del “visualizza, ma non risponde” oppure dell’ “ha visto la storia, ma ha non commentato”.
Claudia Di Meo

La redazione