I ricordi dei figli ed i nostri. “Ah, se non avessi incontrato Sandro Pertini!”

A Nizza , nelle prime settimane di marzo, credo, circondato da metri e metri di muscoli e giacche nere, una figura minuta, tesa come una fiamma di un fiammifero, si avvicina ai miei genitori comunisti, ci sorride e mi accarezza la testa e io, con il mio buffo cappello di lana rossa e il pon pon, vedevo per l’ennesima volta un partigiano italiano che mi rassicurava con la sua sola presenza .
Un altro incontro fu più lungo, 5 anni lontano dalla città e dal quartiere, in un bel paesone, arroccato tra i vigneti, a 15 km da casa. Le elementari. Nella pace della natura, percorrevo sentieri e mulattiere per arrivare a scuola, tra una stalla e un trattore, mi trovavo a mio agio e i vecchi che incontravo, quasi tutti direi, erano stati partigiani. Partigiani della loro terra, non comunisti o cattolici, ma difensori strenui e volenterosi del loro territorio contro l’oppressione. Pastori o falegnami, tutti avevano quel sorriso spezzato che solo una guerra ti può lasciare addosso.
La mia unica professoressa era una partigiana e tutte le mattine, anche nelle le rare supplenze, noi bambini cantavamo “bella ciao” in piedi insieme e, a volte, consapevoli del dolore che teneva viva quella comunità.
Di questo poco sanno i maschiacci e a questo punto intuite che non mi è facile accettare tante cose di questa nostra democrazia, crescere con questi e altri ricordi mi tiene all’erta su tutto quello che si deve migliorare e su quello che i miei figli devono portare dentro come ricordo.
Certo, potremmo stare sereni se nel parco un pitbull attraversa lo spazio giochi, senza museruola … ma anche se sappiamo convivere con le brutture di una metropoli, questo non vuol dire che non abbiamo il tempo o il coraggio di prendere per le orecchie il padrone e di spiegargli che non è suo il parco.
Certo, potremmo girarci dall’altra parte dell’asciugamano e goderci i bambini che giocano a spruzzarsi l’acqua, ma quei ragazzi ubriachi che spaccano bottiglie sugli scogli dove andiamo a cercare i granchi, forse posso parlarci e tra un sorriso e un per favore, manina manuzza con i maschiacci, sono un po’ meno felice di prima, ma uno sguardo leggero dei m. e tutto ritrova il giusto spazio nella mia vita.
Certo, se attraverso la strada con i maschiacci o se sono con una carrozzina ingombrante, non sono iper dinamico, ma davanti a me, nella coda di gente, non ci passi. Sono sorridente e forse anche uno strafottente o cafone, ma sono qui davanti a te con tutta la mia vita e ti ritengo pari a me, sangue blu o verde, ricco o potente, la mia famiglia non ti appartiene e neanche ci devi pensare a comandarmi o a dirmi cosa devo fare.
Certo trovo inutile la maggior parte delle prospettive create dal Mondo dell’immagine e sono sconcertato dalle domande che la gente si fa. A volte mi ritrovo circondato da giovani che hanno ingoiato un pensionato, già senicudi a vent’anni e spiegarlo ai maschiacci non mi è del tutto facile, ma la poca stima che ho per l’uomo sapiens è la stessa che perdo a tre metri dal quadro Guernica al Prado di Madrid.
Allora dentro un bel palazzo, in un museo degno di questo nome, tra le calde mura di una cascina o davanti a un bel film mi trovo facilmente a mio agio, senza essere attori o maestri, la vera maschera della società sono sicuro non cadrà mai e quindi tanto vale essere se stessi e nessuno, se non il papà, che prova e trova la strada, che si perde e si dispera, il papà che cresce e impara quanto i maschiacci a resistere, maledettamente insieme, a questo oceano di cazzate.
I ricordi che lasciamo in giro non li possiamo che interpretare come attori e non dobbiamo sentirci esclusi da quelli dei bambini, da quelli che andiamo a creare insieme a loro, l’importante credo sia essere se stessi e limpidi sia nelle domande che nelle risposte. Curiosi quanto loro e increduli, a volte sicuri sapienti, a volte ignoranti come capre, ma papà, ruolo e interpretazione reale.
Nei miei ricordi, davanti a un pericolo, come davanti a una situazione appagante, ci sono io da piccolo e in certi momenti della vita, con i maschiacci e con le stesse movenze, davanti a me, si compie il miracolo (credo per ogni essere senziente con prole sia lo stesso): ci si rivede come noi da piccoli.
Tra il ricordo e la realtà, come un tipo “ci sono già stato qui” , ma più ingombrante e dai profumi, al luogo, alla gente, alla luce mi trovo, in un secondo, oppresso o felice e vorrei che qualcosa nel mio ricordo , non accadesse, o peggio, sì. Imprecisato fino alla realizzazione, mi sembra di capire fin troppo bene dove porta quella strada o che quel negoziante tanto sorridente, in realtà, porta un’anima nera nelle sue tasche. Incomprensibile a tutti, il mondo dei nostri figli e dei loro ricordi non ci deve spaventare, perché , almeno oggi credo così, neanche loro sono ben consapevoli della realtà. Noi, al massimo, possiamo allora suggerirgli banalmente le nostre incertezze e paure o fargli coraggio con le nostre esperienze passate, ma alla fine quel bellissimo aquilone si sta lentamente allontanando da noi e tutto questo passerà, forse con grande meraviglia, ma passerà.
Essere un padre perfetto non è possibile, ma è il massimo traguardo che dobbiamo cercare di raggiungere e così di loro, un giorno, saremo fieri almeno quanto lo siamo ora di noi.
Mario

La redazione