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Le fiabe dei folletti | Il tesoro dei folletti

Per l’ultimo appuntamento con le creature più simpatiche del PICCOLO POPOLO spostiamoci in Sardegna. Tra i numerosi folletti sardi, i MAZZAMUREDDI erano conosciuti come guardiani dei vari tesori nascosti sull’isola.

La fiaba, famosa in tutta la Sardegna, racconta di un ragazzo che, divenuto amico di questi folletti, guadagnò buona parte di un tesoro in cambio di una corona del rosario.

Che esistessero dei folletti invisibili, chiamati Mazzamureddi, nessuno lo metteva in dubbio. Non si sarebbe spiegato altrimenti lo scalpiccio misterioso che quasi ogni notte gli abitanti di Oliena sentivano sotto le finestre di casa, se non addirittura all’interno della stanza da letto. E poi chi altri, all’infuori di questi folletti ladruncoli, si sarebbe preso la briga di far sparire gli oggetti dalle case e dalle stalle?

Si trattava di oggetti di poco valore, intendiamoci! Un mestolo qua, una spola di là. Altrove un chiodo mezzo arrugginito o un falcetto da arrotare…

Sta di fatto, però, che al mattino gli oggetti non c’erano più, e le donne e gli uomini derubati si lamentavano:

«Hin fuddetos non b’ada itte brullare! (Coi folletti non s’ha da scherzare!)».

Se dunque l’esistenza dei folletti era ormai data per scontata, in pochi erano disposti a credere che uno di essi potesse fare amicizia con un umile pastorello.

Eppure il giovane Peppinello, che tutti consideravano un sempliciotto, divenne ricchissimo proprio grazie a un Mazzamureddu.

Un giorno, mentre pascolava le pecore sopra il colle di Oliena, Peppinello sentì infatti una voce, che gli diceva:

«Ho fame! Mi dai un pezzo del tuo formaggio?»

«E come faccio, se non ti vedo?» rispose Peppinello, per nulla spaventato. «Potresti almeno mostrarmi la tua mano!»

«Come vuoi!» replicò la voce. «Ma la mano ti deve bastare».

Dopo aver afferrato il formaggio,  la mano raggrinzita sospesa nell’aria svanì alla vista del pastore, veloce com’era comparsa.

Il giorno seguente la voce tornò a farsi sentire dal ragazzo e stavolta, appiccicato alla mano, si materializzò anche il braccio. Il terzo giorno comparvero in aggiunta una spalla e il torace, finché, pezzo dopo pezzo, il settimo giorno Peppinello vide un folletto tutto intero, che aveva l’aspetto di un nanerottolo calvo, vestito di rosso.

«Sono il Mazzamureddu» si presentò il folletto. «Insieme ai miei fratelli  faccio la guardia al favoloso tesoro di Sòvana».

«Sòvana non è il villaggio che è stato abbandonato più di cento anni fa, quando lo invasero i Saraceni?» chiese Peppinello.

«È proprio quello, e il tesoro è sotterrato in uno spiazzo al centro di tre grandi querce, all’interno di due campane di bronzo».

«Ma, stando a quanto raccontano in paese, tutta la terra di Sòvana è ormai ricoperta di querce. Come si fa a capire quali sono quelle giuste?»

«Perché, lo vorresti tu il tesoro?»

«Be’, ti confesso che qualche moneta d’oro mi farebbe comodo! Giusto per dare sollievo alla mia nonna… È l’unica parente che mi è rimasta e le voglio un sacco di bene. E poi, poveretta, a forza di filare  non ci vede quasi più».

Colpito dalla sincerità del ragazzo, il Mazzamureddu disse:

«Chiunque al posto tuo avrebbe fatto finta di non saper nulla del tesoro, dal momento che, secondo le usanze, un folletto tesoriere toglie il senno e il sonno a chi osa soltanto nominare la parola oro. Ma tu sei stato sincero e io voglio premiarti. Perciò vieni domani a Sòvana e porta con te, oltre a un contenitore abbastanza grande…»

Peppinello non lo lasciò finire di parlare.

«Intendi dire che…che  mi da-darai dell’oro?» balbettò incredulo.

«Certo!» confermò il Mazzamureddu. «A condizione, però, che tu porti un sacco per le monete e il rosario di tua nonna».

«Il rosario della nonna? E a che cosa vi serve un rosario di grani consumati?»

«È da un po’ di tempo che ci abbiamo messo gli occhi sopra.  Abbiamo anche tentato di rubarglielo, di notte, ma né io né i miei fratelli ci siamo riusciti».

Peppinello rifletté sulla proposta e su come si sarebbe impossessato del rosario della nonna. Quindi  si congedò dal folletto

«Se le condizioni sono queste, ci vediamo domani a Sòvana».

«Allora arrivederci a domani»  lo salutò il folletto. «E mi raccomando, non far parola con nessuno del nostro accordo, neanche con tua nonna!»

Quando il mattino dopo Peppinello si presentò a Sòvana, una schiera di folletti Mazzamureddi, identici al folletto del patto, lo attendeva nei pressi di uno slargo ricoperto di erbacce che doveva essere stata la piazza principale del villaggio.

Il buon pastore si avvicinò a testa bassa al gruppo di folletti e disse:

«Come contenitore per l’oro, è sufficiente il mio berretto. Riguardo al rosario della nonna, invece… ho tentato di portarglielo via stanotte, dal momento che non avevo altro modo per farmelo consegnare.  Poi  mi sono ricordato di una cosa: il rosario fu regalato alla nonna proprio il giorno delle nozze ed è un ricordo del suo caro marito, per cui, trattandosi di un oggetto così importante per lei… Sì, insomma, ho pensato che, se gli avessi rubato il rosario, la mia nonna avrebbe sofferto troppo. Sicché al posto di quello…»

Sempre a testa bassa, Peppinello trasse dalla borsa un rosario, che aveva costruito legando insieme delle piccole bacche indurite.

«Le ho raccolte io, le ho bucate e le ho riunite a formare una corona. Se vi può andar bene lo stesso, ve la cedo volentieri».

Il Mazzamureddu che gli era apparso sul colle scambiò un’occhiata d’intesa con gli altri folletti. Poi rispose a Peppinello:

«Lo scambio ci soddisfa ugualmente. Anzi, siccome il rosario di bacche ci piace di più di quello della tua nonna, abbiamo deciso di regalarti in cambio non un solo berretto di monete d’oro, bensì un sacco intero. Sei contento Peppinello?».

Il pastorello annuì, impallidendo per l’emozione. Come avrebbe potuto non essere contento, dopo che gli era capitata una fortuna così straordinaria?

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Rosalia Mariani

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