Metodo Montessori: non solo per bambini ma anche per aiutare i malati di Alzheimer

Il metodo Montessori mette al primo posto l’individualità, lo sviluppo dei sensi e dell’autonomia, l’importanza di fornire scelte, l’idoneità degli ambienti.
E allora appare chiaro già dalle prime righe quanto metodo Montessori ed Alzheimer non sia un binomio azzardato.
Il metodo Montessori ed i suoi metodi educativi, negli anni passati, trovavano una loro applicazione in bambini in età prescolare. Da un periodo invece si è esteso con enorme successo anche ai bambini nella prima infanzia (proprio dai primi mesi) fino agli adolescenti.
Il 23 e 24 Settembre, a Trento, si terrà il convefno Erickson che avrà come oggetto “L’assistenza agli anziani – Metodi e strumenti relazionali“: nella mattinata di venerdì 23 settembre sarà presente Elisabetta Farina (Fondazione Don Gnocchi) che terrà un workshop proprio sull’applicazione del metodo Montessori sui malati di Alzheimer.
Il metodo prevede che i bambini vengano trattati come persone, a prescindere dall’età, rispettandone la dignità, l’unicità, i bisogni. Quindi non fatevi trarre in inganno dal pensiero che applicando il metodo sugli anziani vorrà dire trattarli come i bambini in quanto, anche se il metodo trova la sua maggiore applicazione in quella fascia di età, vuole al primo piano il rispetto delle peculiarità di ciascun individuo, a prescindere dall’età appunto.
Ecco perché al workshop si parlerà di quanto sia importante dare alle persone affette di demenza la possibilità di fare scelte nel corso della giornata, e ogni interazione è un’opportunità per fornire scelte, tenendo a mente che va sempre dimostrato cosa si vuole che una persona faccia prima di chiederle di farlo. Proprio in quest’ultimo concetto c’è la chiave di tutto: non basta spiegare verbalmente come fare qualcosa, sia che la persona sia affetta da demenza o meno: dobbiamo essere sicuri che la persona abbia la capacità di comprendere e poi di fare ciò che le stiamo per chiedere, e quindi devono essere i compiti o i materiali ad adattarsi a particolarità fisiche e/o cognitive.
Come dicevamo prima, al centro di tutto deve esserci la conoscenza dell’individuo, dei punti di forza e di quelli deboli, delle preferenze, degli interessi, delle paure. Se conosciamo questi punti sapremo senz’altro fornire un ambiente e degli stimoli adatti, e dei compiti che siano per lui coinvolgenti ed appaganti, e se facciamo in modo che si senta di appartenere a una comunità e di svolgere al suo interno ruoli significativi avremmo senz’altro fatto un grande regalo alla sua anima.
Loredana Amodeo

La redazione